Oggi che è il 25 aprile mi è venuta in mente una domanda: ma perché lo festeggiamo? La vostra risposta sarà: “la liberazione!” Ma liberazione da cosa? 

C’è chi pensa, sbagliando a mio avviso, che il 25 aprile si festeggi la liberazione da un’idea politica, quella del fascismo, propria di un partito politico. Non sarebbe sbagliato pensarla in questo modo, se solo la nostra costituzione non dicesse a chiare lettere un paio di cosette. Io non vi parlo di tutta la carta costituzionale, che è composta da 139 articoli, ma della sua parte fondamentale, i primi 12. In particolar modo l’articolo 3 sancisce l’uguaglianza tra tutti i cittadini: nessuno è diverso di fronte alla legge; cosa innovativa dato che fino a quel momento c’era sempre stata una divisione non solo basata su caratteristiche personali ma in particolar modo sul censo e, negli ultimi vent’anni, in relazione all’idea politica. La nostra costituzione, che è antifascista, non lo è perché la XII disposizione transitoria vieta la riorganizzazione del PNF, ma perché nei suoi principi fondamentali sancisce il valore dell’uguaglianza. Una persona è fascista non perché ha determinate idee politiche, quelle sono solo il risultato di una modalità di vivere, di pensare. Il fascista è colui, o colei, che ha paura del diverso. Il fascista è chi non accetta un risultato positivo nel momento in cui le cose cambiano. Il fascista non vuole che la società cambi, perché ha una tremenda paura di ciò che potrebbe incontrare. Quindi il fascista odia, cioè si chiude in se stesso e lascia al di fuori tutto ciò che non gli va a genio. Questo è il fascismo, e ovviamente portato a un livello politico su scala nazionale non può far altro che portare a una tendenza autarchica. Chi oggi non festeggia il 25 aprile perché magari ha simpatie per una determinata area politica, non ha capito nulla. Quando noi diciamo che determinate persone sono fasciste, in particolar modo chi oggi è al governo, non è perché nel simbolo del suo partito ha una fiamma tricolore, ma perché non ha mai detto esplicitamente di amare ciò che è diverso da se stesso. Chi oggi siede a Palazzo Chigi, o alla presidenza della Camera o del Senato, non sa cosa vuol dire amare ciò che è diverso da se stessi. Mussolini odiava il diverso proprio come ora persone come Meloni o Salvini non riescono ad accettare qualcuno, o peggio qualcosa, come un’idea che può passare sulla televisione nazionale, che non sia fatto a immagine e somiglianza di loro stessi. Oggi dirsi antifascista vuol dire avere coraggio, e questo è molto triste. Chi alla caduta del fascismo ha lottato fino a dare la vita, lo ha fatto perché noi non dovessimo avere coraggio. Il fatto che oggi dirsi antifascista sia una presa di posizione politica, ideologica, è il sintomo di una società che sta cambiando in peggio. Un tempo dirsi antifascista non era solo la normalità ma sanciva uno stile di vita ben preciso, cioè quello, magari non di amare, ma di concepire che qualcosa diverso da se stessi potesse essere anche positivo. Oggi invece antifascista non lo è chi ama, ma purtroppo chi non vota a destra. Quindi ritengo che amare sia un esercizio di democrazia, perché se ami qualcosa che è diverso da te vuol dire che certamente sei antifascista.